La CAMISETA del BARCA 🇮🇹
Los suburbios del norte de Turín
Trofeo BARCANOVA
COPPA PRIMAVERA
La Coppa Primavera, dopo il Torneo di Viareggio, era la competizione più importante in Italia a livello di giovanili per scoprire i nuovi astri nascenti del calcio, sui campi di via Centallo hanno giocato campioni del calibro di Antognoni, Pruzzo, Zaccarelli, Scirea, Mozzini, D'Amico, Gentile, Lentini, Cravero, Contratto, Bertotto (cresciuto nelle giovanili del BARCANOVA ) il Capitano del Real Madrid *Michell*(José Miguel González Martín).
Nelle numerose edizioni hanno partecipato tutte le migliori società italiane come Juventus,Inter,Milan Torino,Napoli,Lazio,Fiorentina e Atalanta ecc. e tutti i migliori club europei come Barcellona,Real Madrid Atletico de Madrid,Porto,Benfica,Manchester United,Liverpool,Arsenal,Bayern Monaco,Ajax,Stella Rossa e molti altri club dalla Francia Svezia Polonia Croazia Ungheria e molti altri paesi .
18'COPPA PRIMAVERA BARCANOVA 1976
Juventus 4a Classificata
In alto da sx a dx: Dainese,Bobbo, Marocchino,Pocorobba,Gola
Accosciati da sx a dx:Russo, Gasperini, Esposito, Verza (cap.), Bogani, Beccaris
HISTORY
COPPA PRIMAVERA
La Coppa Primavera veniva sempre disputata nella settimana della domenica di Pasqua per questo veniva chiamata COPPA DI PASQUA.
Nella foto vediamo un articolo riferito ad Antognoni, Contratto (che nella foto marca Diego Armando Maradona) e Michèl capitano del Real Madrid vincitore del torneo.
(CAMPIONE DEL MONDO 1982)
Valerio Bertotto
Giocatore cresciuto all'Us Barcanova, per poi approdare nel calcio professionistico con Alessandria, Udinese (dove è stato la stella e il capitano per quasi tutta la carriera) per poi concludere la carriera al Siena e al Venezia.
Ha giocato nella Nazionale Italiana guidata da mister Giovanni Trapattoni.
BARCA
STORIA US BARCANOVA 1920/2020
100 anni di storia
Anno 1920 US BARCANOVA
guardando così lontano nella memoria e negli archivi non c’è il rischio di trovare l’affollamento onomastico che oggi caratterizza il mondo del calcio. Juve e Toro, Vanchiglia e Cenisia e poi poco o nulla d’altro. Nasce allora quella che per anni e per blasone venne considerata la terza squadra di Torino e per cui non basterebbe un libro a tracciarne i confini. Millenovecentoventi, allora, lato sinistro della Stura, regione Barca. Il trenino Ghigo porta quello che è un nucleo abitativo di pescatori ed artigiani a Torino. Avanti e indietro durante la settimana: quelli che vivono dove la città ancora non c’è ancora mentre nel week end il percorso è opposto e l’Italia che cerca di rialzarsi dalla Guerra da Torino si sposta alla barca per mangiare pesce nelle prime trattorie o fare merende sinoire là dove la strada si biforca per andare a Settimo o San Mauro. Proprio da uno di questi ristoranti in strada Settimo non è raro vedere uscire un gruppo di ragazzi. Vanno a giocare a pallone e non è una stranezza osservare percorrere due chilometri di sentieri una ventina di giovani in tenuta da calcio (per quanto ai tempi si potesse parlare di casacche) in ogni condizione atmosferica. Il campo, il primo campo del Barcanova ai bordi della Stura è ben lontano dall’avere spogliatoi e allora ci si cambia alla trattoria Meda che funge anche da prima sede sociale. Pantaloni corti e cappotto in inverno perché il tragitto non è così breve. Il labaro è benedetto nella cappella della Cascina “La Magra” e così nasce l’U.S.Barca. Tra pochi anni sarà Barcanova, un nome che si appiccica addosso a tutti quelli che dal secondo dopoguerra masticano pane e calcio a Torino. Non c’è altra società, almeno negli ultimi sessanta anni che, pur non avendo mai gareggiato a livello di primato cittadino con granata e bianconeri, non faccia venire immediatamente in mente il connubio con la città. Sarà per la Coppa Primavera, per quel campo in via Centallo dove l’erba non ne vuole proprio sapere di crescere, per quella sua fisionomia di borgata, per la continuità della sua azione, per chi è uscito da quegli spogliatoi e chi ci è passato. Sarà per tutto questo. Intanto ancora oggi se si va fuori regione e si chiede di nominare una squadra di settore giovanile in riva al Po, uno dei primi nomi è Barcanova. Che nel 2020 compie cento anni, non sempre facili, non sempre ridenti. Ad esempio, il Fascismo mette a tacere i rossoblù che ritornano a vagire a guerra finita. L’input arriva da Giovanni Necco (Nekita), uno del borgo con un fratello (Cichin) giocatore nel primo Barca, che trasferisce insieme a Raviola e Beccuti la squadra nell’unico campo ancora disponibile, quello della Parrocchia San Giacomo, incastrata tra Strada Settimo e strada San Mauro. Ancora oggi di fianco alla Chiesa resta il campo dell’Oratorio in uno spazio erboso con le porte da calcio. E’ un calcio povero, discreto nel suo desiderio di affermare un’esigenza di libertà che si esprime con il profumo dei campi. Dal chiuso dei rifugi all’aria aperta, dal buio della paura ai colori della campagna e del fiume. E’ un calcio che però esige la sua dignità se è vero che con orgoglio i cromatismi sociali continuano ad essere rosso e blu e se già dalla prima riunione si rivendica il diritto di un campo. Che arriva, ed anche in fretta perché un altro appassionato del borgo, Filippo Rosso (Bertu) mette a disposizione una spianata in via Centallo che diventa la casa del nuovo Barcanova. Non è ozioso citare i soprannomi perché è da lì che nasce il Barcanova, dal senso di appartenenza a quegli orti, da quel sentimento di intimità quasi sensuale con il luogo di nascita. I fondatori sono dunque pietre di quel campo sterrato che resisterà fino all’alba del nuovo millennio.
a cura di GIANNI MINÁ
DINO ZOFF
IL CALCIO CHE NON ESISTE PIÙ
«Oggi manca il campetto, l’oratorio. Oggi i campetti sono tutti chiusi a chiave. Per entrarci devi pagare. E quando paghi poi le cose cambiano, salta la legge del campo dove il più forte o il più bravo vince e dove tutti migliorano.
Al campetto siamo cresciuti tutti, magari con un parroco o un adulto che ti levava il pallone se non andavi a messa… Oggi ci sono le scuole calcio con allenatori preparatissimi, con tanto di patentino. Bravissimi, che ti insegnano a stoppare la palla di piatto o col collo del piede, ma la creatività?
Non sono un nostalgico, non lo sono mai stato, credo che ognuno sia figlio della propria epoca. E per fortuna, aggiungo. Non è vero che una volta tutto era meglio, non scherziamo. Però ci sono alcune cose che andrebbero tenute in maggiore considerazione, come l’educazione alla creatività dei piccoli calciatori. Devono essere liberi di giocare, devono sentirsi liberi. Senza genitori che pretendono di avere figli campioni a dodici anni, facendo in realtà solo loro del male.
All’oratorio si cresceva imparando che nulla nella vita è dovuto: se uno è più bravo, magari vince. E allora tu per essere bravo uguale devi correre di più, essere più furbo, applicarti, imparare, crescere. Perché nessuno lo farà per te… Il campetto insegna la vita».
[Dino Zoff - 🎙 Sette, Corriere della Sera]
📕 Romanzo Calcistico